Non ricordo di essere stata così male, per il genere al quale appartengo, osservando nei giorni scorsi le vicende delle donne polacche impegnate nella lotta in difesa del proprio corpo; seguendo le dichiarazioni e le tesi di “questi o quelli”, pro o contro che siano. Sì, dirà qualcuno, siamo ancora lontano da quei livelli, ma non è così, la cosa ci riguarda molto più da vicino di quanto possa sembrare di primo acchito. La paura di impotenza è presente anche senza che il diritto all’aborto venga abolito. L’evolversi della situazione nella società, nei media e sui social, mi ha ispirato a parlarne con una cara amica che ha vissuto in prima persona quell’esperienza che nessuna donna o ragazza auspica di dover passare. Qualche giorno fa, noi due…:
“Non credo ai miei occhi, né alle mie orecchie, hai visto cosa sta succedendo in Polonia? La gente è malata!
“Aspetta un po’ Petra, qualche anno addietro, quando tu stessa sei stata costretta ad abortire, dicesti di non voler vivere mai più un’esperienza simile. Non capisco perché ti infervori tanto. Tu del tuo diritto hai aprofittato. Non capisco, cerca di spiegarmi…”
“È vero. Molto probabilmente non lo ripeterei. Ma anche se si tratta della peggior esperienza mai vissuta, non desidero che a me, a mia sorella, a una mia amica o a mia figlia vengano legate le mani nel qual caso dovessero venire a trovarsi in una simile condizione. E magari dovessero passare una tortura più raccapricciante di quanto sia toccato a me.”
A questo punto Petra si ferma, il labbro inferiore inizia a tremare, come succede ogniqualvolta è sull’orlo del pianto. Non è riuscita a trattenersi. Tra le lacrime è riuscita a biascicare:
“No, Ana non lo ripeterei. Non ripeterei, neanche quel mese di lunghe ore trascorse nella sala d’attesa di uno dei più famosi ospedali di Zagabria come non ripeterei il trattamento che “quel” dottore mi fornì. Sì, ero una ragazzina e fortunatamente innamorata, con una relativamente buona conoscenza in materia di educazione sessuale…. A pensarci meglio, sicuramente ne sapevo di più rispetto ad altre sui rischi che potevo correre, ma anche il preservativo non è stato sufficiente e ”fuck”… È successo. Mi sono presentata molto presto dal medico tanto che nella prima settimana nonostante l’evidenza dei test positivi non c’era la sicurezza medica che fossi incinta. Non si vedeva nulla, nemmeno ricordo il numero di ecografie fatte. Tutte di carattere transvaginale e molto dolorose, una, dico una, delicata, no. L’utero si allarga, ti fa male la pancia come durante la peggiore delle mestruazioni della storia. Una volta proclamata la gravidanza, non ho tirato il proverbiale sospiro di sollievo, ancor più a causa dei dolori sulla cartella clinica mi è stato affibbiato GRAVIDANZA A RISCHIO: allora una ragazzina di appena 20 anni si ritrova con la testa piena di domande che sbattono contro un muro e ritornano indietro. Perché a rischio? Come a rischio? Cosa faccio? È l’unica occasione che avrò per far nascere una creatura? – Sono domande che ancor oggi sono in cerca di una risposta.
Secondo una mia ipotesi si trattava di un modo come un altro per intimidirmi affinché ci ripensassi. A una settimana dall’intervento circa, in occasione dell’ennesima ecografia, una dottoressa ha cercato di convincermi a ritornare sui miei passi adducendo le più svariate motivazioni: dicendo che il bambino non necessita che io finisca l’università, e di essere felice e realizzata, il bambino non lo chiede – disse – di guardare lei con 40 e più anni, ma senza figli e così avanti… di ripensarci. Piansi a dirotto e nessuno mi capiva. Compreso „quello“ con il quale condividevo la colpa per quanto stavo passando. Quando gli comunicai la notizia della mia gravidanza rispose „Beh, super, ce la posso fare!“.
Molto orgoglioso di quanto fosse fertile è stato molto categorico dicendomi che dovevo abortire perché in caso contrario i genitori lo avrebbero letteralmente crocifisso. Dopo la dottoressa che cercò di convincermi, lui ha regito così: “Petra, basta, lei non può dirti nulla. La prosssima settimana è finito tutto e smettila.“ E avanto così per un mese con alti e bassi, nascondendo i sintomi della gravidanza ai vicini, più o meno tutto da sola. Lui, l’incriminato, era lontano a chilometri, in un’altra città. Alla mamma raccontavo cos’era successo dal dottore e qual era la data fissata. In quei momenti lei è stata il sostegno più grande. Quella che fino ad allora era l’amica migliore è sparita dalla faccia della terra; poi anni più tardi confessò che non era in grado di far fronte alla situazione. Quando la vedo, oggi, nella mia testa scatta un applauso…”
Mentre vecchie ferite tornano a grondare amari ricordi, abbraccio Petra, ma suppongo che fanno male come se fosse il primo giorno della sua ‘avventura’.
„Eccone, ancora una!” – è la reazione del primario, la prima volta che ci siamo incontrati. Così. Una frase offensiva dentro l’altra ad ogni appuntamento. Verso la fine quando bisognava fissare il termine, a casa ho fatto il mio „ compitino“, una ricerca su tutto quanto fosse necessario fare, tagliando la lingua ai medici, nell’esporre considerazioni e dati scientifici e dimostrando così di non essere una di quelle che usa l’aborto come metodo di contraccezione, purtroppo ce ne sono anche di questo tipo, facendo così intendere di essere una che tiene a cuore il suo corpo e cosa accadrà dopo l’intervento. Sono diventati seri e hanno iniziato a guardarmi come una persona che oltre all’utero possiede anche un cervello. Ho deciso di spendere qualche soldo in più per l’anestesia totale pensando che magari così non avrò ricordato nulla. Purtroppo non è servito, mi hanno inserito la sonda prima che l’anestesia avesse avuto effetto. Il ricordo va anche a una ragazza, una coetanea, che come me in sala d’attesa stava aspettando: guardavamo a terra, senza parlare. Veniva da un’altra città perché nel suo luogo di residenza, dal medico privato, non praticavano l’aborto in anestesia generale. Tremavamo entrambe. Se fosse entrata prima di me, non lo so se avessi mai varcato la porta che portava alla sala degli interventi. Ma l’ho fatto…”
„Petra non devi continuare. È passata va tutto bene ora stai vivendo la tua vita“.
„Non è passato. Sai com’è quando ti risvegli dall’anestesia, piangi e le lacrime non scendono? Non scendono. Gli occhi bruciano perché piangi a secco…
Quando mi hanno riportato nel reparto, in camera, mia madre mi ha visitato per darmi un bacio in fronte, per spiegarmi di non poter stare lì e che avrei dormito per qualche ora. L’idiota col quale sono stata sedeva in corsia e piangeva per rinfacciarmi oggi ad anni di distanza, di averlo fatto alle sue spalle. Nella stanza eravamo in 6 o 7, ero la più giovane. Vicino a me c’era una donna che per tutto il tempo teneva stretta a sé una fotografia di due suoi figli più grandi. Ricordo che alcune lacrime scivolavano dalla foto. Diceva di non preoccuparmi, che questo era solo un brutto episodio, che avrei avuto un figlio quando sarei stata pronta. Di fronte avevo una donna di 40 anni circa, non proferì una parola.“Come sentii in corsia, le era stato praticato un raschiamento perché il feto presentava dei problemi“
Si asciugò alcune lacrime e continuò a guardare il soffitto di quella stanza. Un’altra più o meno della stessa età continuava a vomitare per gli effetti dell’anestesia, era costretta a cambiare l’assorbente notturno, perché costretta a dormire sulla schiena, altrimenti sarebbe andato tutto per il letto. Un’altra ancora non riusciva a rendersi conto mentalmente di quello che era successo prima e dopo l’intervento, stava con noi. La ragazza dell’altra città, stava alla mia estrema destra, continuava a guardare per terra e contare le lacrime.
In quel momento, quasi per errore, entrò un’infemiera, era l’ora dl pranzo, apro la porta e sputò a voce alta.“AH SONO LE ABORTINE!!!“
Non ho mai odiato così una donna compresa me stessa.
Il momento in cui ti devi alzare dal letto è particolare, non è che fa tanto male, come una mestruazione un po’ più forte, ma tremi per tutte le emozioni che attraversano il tuo corpo.
Sono andata a casa, mi sono lavata in quello che era un misto di acqua, la doccia schiuma, lacrime e sangue. Il giorno dopo ho avuto la visita del Responsabile, mi ha portato dei fiori perché era una specie di anniversario per noi, disse :“E quando avremo un bebé, allora…“. Non riuscì nemmeno a concludere la frase, era già fuori dalla porta, purtroppo non come ex.
Oltre a mia mamma, una luce in tutto ciò, è stato il mio ginecologo, a cui mi sono rivolta un paio di settimane più tardi. Appena entrata nel suo studio mi ha fatto accomodare accanto a lui, ha appoggiato le sue mani sulle mie e guardandomi diritta negli occhi mi ha chiesto “Come sta?“ Ho raccontato una menzogna dicendo di stare bene e lasciando passare un paio d’anni da quel momento.“
In questo momento sono stata io a iniziare a piangere a dirotto pregandole di smettere, ma non riusciva:
„Ana, sono andata in un ente di alto livello. Ero a conoscere dei rischi che correvo, ho pagato una bella somma di denaro affinché tutto passasse nel modo più indolore possibile, vedi come è andata. Capisci cosa accadrà se l’aborto viene abolito? Cosa succederà allora? Chi educherà le ragazze nella prevenzione affinché non si arrivi a questo punto? Non appoggio l’aborto come tale, appoggio solo la tesi in base a cui ognuno del proprio corpo può fare quello che vuole per motivi o ragioni che sono noti e importanti solo alla fonna che arriva a questo punto. È stupido dire che non mi dispiace per quello che ho fatto, ma ribadisco ancora che sarebbe stato ancora più stupido portare a termine quella gravidanza che ripeto era a rischio e restare sola con un figlio e con un padre che era tutto fuorché quello che desideravo per lui.
„Sì, io ho usufruito del mio diritto, il diritto ALLA MIA VITA. E vorrei che anche altre donne lo abbiano, senza subire condanne e maltrattamenti di chi li circonda.“
Ed è tutto quanto ho da dire su un tema che sta riempiendo lo spazio mediatico. No, non entra in quella sala con il sorriso sulle labbra e poi quando tutto finisce non te ne vai a bere un caffè. Continui a vivere, differentemente, ma lo fai e facendo un po’ più d’attenzione, soprattutto per te stessa…
Un abbraccio,
A.
Ciao! Mi interessa com’è la tua vita ora, credo anni dopo l’aborto? Vivi in pienezza o stai sopravivendo nascondersi dietro il sorriso?
La mia vita? Credo che pensi alla vita di Petra, la ragazza che ha abortito. Vive molto bene, cosciente di aver fatto una buona decisione.